Caro Michele, se non sapessi che sei un ingegnere mi verrebbe da credere che sei un professore di linguistica. Quanto studio c’è dentro La parola svelata e quanto amore per la materia o dovrei dire arte enigmistica. Mi hai riportato ai tempi in cui leggevo De Saussure, Chomsky e Greimas. L’esattezza lessicale nell’uso di un codice più che specifico, la capacità classificatoria, la chiarezza espositiva non aprono solo “le porte di Tebe” ma costituiscono uno studio puntuale e appassionato della nostra lingua in tutte le sue articolazioni, in tutte le innumerevoli potenzialità ludiche, semantiche e persino fonologiche.
Anch’io da piccola pensavo si chiamasse Franksy Natra eppure in casa Nugnes era sempre sul piatto del giradischi.
Questi sono materiali da proporre all’università, sono sicura che tutti, docenti e studenti ne rimarrebbero affascinati, e Miola, come ben si vede nella prefazione, ha fatto da apripista.
A proposito di rapporti tra enigmistica ed umorismo, babbo Aldo era innamorato di Achille Campanile, Marcello Marchesi e di tutti coloro che con arguzia e intelligenza giocano col doppio senso, quello elegante, quello vero, non quello grossolano da cine-panettoni. Ha ragione Adorno nel dire che ogni opera d’arte è un indovinello, è qualcosa di enigmatico e nel tuo caso il tuo libro lo è al quadrato e tu hai fatto quadrare il cerchio come Leonardo. (Il bisticcio è voluto). Rodari parlava di straniamento nella costruzione dell’indovinello e tu ci hai stupito per quanta perizia hai messo in questo lavoro che gioca con le parole e, quando il gioco si fa duro, gli ingegneri cominciano a giocare, ne sanno qualcosa gli oulipienne.
Bravo Michele, bravo davvero.