Come la mia, che fin da giovane ha dovuto combattere con la malattia dei propri cari (madre e marito), a quelle che hanno perso un figlio, a chi ha dovuto alimentare il coraggio ogni singolo giorno della propria vita,
a chi ha nascosto le lacrime, ha ingoiato il dolore, a chi ha provato a sorridere,
a chi non si è lasciato stritolare dalla disperazione.
Serenella Menichetti affonda il coltello nella piaga e lo fa con parole cariche di ricordi, di quotidianità, di esperienza. Così la poesia diventa una valvola di sfogo per poter ammettere finalmente la propria debolezza.
NON SONO PIU’ TORNATA
Spine. Vetri appuntiti. Chiodi.
Camminano sul diaframma dell’anima senza ritegno.
-Te lo ricordi il petalo della prima rosa bianca,
sbocciata al quinto piano, poi strappata dal vento? –
Spine. Vetri appuntiti. Chiodi. Continuano a correre
come fossero sull’asfalto di quella strada di periferia.
Volano alto i petali, candide gioiose farfalle.
Le guardi incantata sfiorare il cielo.
-Chissà se qualcuna si poserà sulla punta del campanile-
Ti chiedi. Poi ti ricordi della minestra di verdura
che bolle follemente sul gas che avresti dovuto abbassare.
Indifferente alla pianta, spoglia di loro. Ammiri il volo
ancora per un attimo.
“Cuocere lentamente” eppure la ricetta te l’aveva gridato.
Con la mano lentamente ruoti l’interruttore fino al minimo.
Il brodo si placa. le verdure fermano il loro ballo satanico.
-No, non è stata affatto lieve la tua vita MAMMA-
Affacciata alla terrazza conquistata, per la prima volta gusti
il sapore della leggerezza: zucchero filato.
Osservo le tue ali spuntare, i tuoi occhi risplendere.
Ascolto la risata dei tuoi sogni che giocano a nascondino.
Spine. Vetri appuntiti. Chiodi.
Li trovi ovunque. Passeggiano tranquillamente, indisturbati.
Non si può fare niente, sono peggio delle zanzare.
Pungono la vita, feriscono i piedi dell’anima. Stracciano i sogni.
Non sono più tornata al quinto piano. Non ce l’ho fatta.
Mi avrebbero disturbato tutti quei brandelli di sogni
sparsi ovunque.
Attaccati alla ringhiera.
Nascosti tra i cuscini dei divani.
Penzoloni , sui lampadari polverosi.
Preferisco starmene nella mia stanza e ricordarti
con il mare negli occhi.
Ve la leggo, mentre “le spine i vetri appuntiti i chiodi” mi feriscono nel profondo, costringendomi ad ammettere di essere umana.