Un bel tandem quello di Patrizia Salutij ( che con questo cognome ” può dire quel che vuole”) e Laura Neri, la prima ha scritto questo racconto e la seconda, magnifica illustratrice ha ideato e disegnato il rebus. Tutto delizioso e poi la storia di questa amicizia fra Patrizia e Laura fa tanto Natale di Frank Capra. In pratica il racconto è una ekphrasis, sull’immagine del Rebus. Un’arte che parla di un’altra arte. Roba da palati fini.
Rebus di Natale
L’enigmistica mi è sempre piaciuta, da piccola me la presentavano come “il passatempo più sano ed economico”, come recita ancora in prima pagina la Settimana. Mi dicevano è anche il più semplice da reperire, il più creativo dopo il disegno a matita sulla carta gialla del macellaio. Ma forse, chissà… era proprio tutto vero? L’enigmistica è creativa, ma anche estraniante, sempre diversa, divergente, imprevedibile, spesso originale e mai scontata, mi si lasci dire, anche se ammette una sola soluzione. Comunque così com’è l’ho sempre adorata, e un tempo l’adottavo anche come modello caratteriale. Per cercare di somigliarle, a suon di tentativi son riuscita tuttavia ad essere soltanto un po’ più pazza del normale e spesso così diversa da tutto da diventare incomprensibile come certi rebus, quando non mi mostravo intrattabile. D’altra parte c’era chi voleva essere Rita Hayworth, chi Jaqueline Kennedy o Marlene Dietrich. Io volevo diventare bella come l’enigmistica, non c’è niente di strano. Anche se quell’assenza di creatività mi pesava, mi limitava; la fantasia, l’estro non sono forse strade messe lì apposta per arrivare al sogno? Pensandoci, non avrei neanche potuto fare a meno di quella fecondità progettuale che, indipendentemente dal fatto che si realizzasse, mi avrebbe concesso momenti di libertà a scapito di costrizioni e divieti, che odiavo anche se rispettavo per buona pace.
Con l’enigmistica trovai il compromesso, e senza neanche pensarci tanto, perché vi riuscii senza merito, solo grazie all’istinto. Dei vari rompicapi, quelli che mi attraevano di più furono ben presto proprio i rebus. A differenza dei cruciverba, per esempio, in cui le parole sono incastrate in quadretti a formare colonne e righe pedissequamente incrociate tra loro, in quegli specifici enigmi la soluzione è stretta in una frase univoca sì, ma deducibile dalla considerazione che l’enigmista fa dell’intera scena proposta. Che è illustrata magistralmente proprio per coinvolgere i neuroni in un felice amplesso tra visione e calcolo. Una roba così non si trova in nessun altro quesito di problem solving. Almeno non con quella connotazione che sta in bilico tra l’arte di saper rappresentare, in chi la scena la disegna, e la competenza linguistica, in chi incastra parole e lettere per farne uscire frasi. Un capolavoro di rompicapo, alla fine.
La mia amica Laura non la vedevo da parecchio tempo, ma ai nostri giorni è facile non perdersi comunque mai di vista. Sui social ci si ritrova e s’invecchia senza avere la triste meraviglia di scoprirci avvizziti d’un botto. Eoni fa insegnavamo nella scuola primaria, ma c’incontravamo piucchealtro nei corsi di aggiornamento, dove assieme alle nuove tecniche didattiche c’insegnavano ad usare la fantasia il più possibile. Adesso commentiamo brevi post sul rispetto della libertà e delle aspirazioni dei ragazzi e ricordiamo con passione la scuola come la più stimolante delle avventure che ci sia stata concessa.
Concordiamo di vederci, un pomeriggio, presso una rinomata pasticceria del centro, le facce seminascoste dalle chirurgiche. Non ci possiamo abbracciare, ci sfioriamo i gomiti l’una con l’altra. Lei però mi porta un omaggio, un cartoncino su cui ha dipinto due iris sfumati come i sogni. I colori sono ad acquerello e sono anche quelli che amo di più: blu, azzurro e verde. Le maestre sanno tutte disegnare almeno un po’, ai nostri tempi poi l’educazione artistica, durante gli, si concentrava proprio sul risultato che dovevamo raggiungere: fare delle arti visive uno strumento per avvicinare e motivare i bambini ai concetti che dovevano apprendere. Ci insegnavano a stupirli e noi ci provavamo, mentre le linee di gesso sulla lavagna si completavano in figure che i piccoli facevano a gara a riconoscere per primi. Come disegni bene, maestra! E quello era uno dei più bei complimenti che potevano farci.
Ci sono però maestre che, come Laura, sono così benedette nel tratto che la loro mano va oltre il disegno motivazionale alla lavagna. Così è stato per la mia amica, che dipinge quadri sempre più belli, almeno per i miei gusti.
Ci raccontiamo di come passiamo il tempo, adesso che siamo a riposo. Io faccio i rebus, mi dice lei. Che bello, anch’io ne sono sempre stata appassionata… Anche a me piace risolverli. No, ma io adesso li disegno. Illumina lo smartphone e me ne mostra un paio. Vignette disegnate a china, con le ombreggiature al loro posto, le lettere per comporre le chiavi e tutto, appaiono sullo schermo. Che belle, ma sono come quelle che si trovano sulla Settimana! Certo, la tecnica è quella, mi sorride Laura, quasi prendendomi in giro per la mia meraviglia. Questi sono per una rivista di enigmistica che pubblicheranno tra poco, mi hanno dato le chiavi ed io ho disegnato lo sketch. Sono rebus da questa stagione, invernali come vedi. Non posso mandarteli ancora, perché devono uscire…
Avvicino lo schermo al naso e ne osservo uno, ogni tanto ci appoggio un dito per non farlo scurire. E’ come se una finestra si aprisse da fuori. Si vede un ambiente rebussiano, ovviamente, con cose e persone messe lì anche in accostamenti stravaganti per farti pensare alla soluzione, e solo a quella. E’ un interno in cui grafemi in neretto sono attaccati a bella posta a particolari figure, univoche. Su una parete, forse a ricordarti la stagione in cui è ambientata la scena, la penna a china ha lasciato un quadretto con colline che paiono innevate. Non si sa se sia giorno oppure notte, ma dentro c’è un ambiente caldo, illuminato da una luce che si potrebbe immaginare anche soffusa, magari chissà proveniente dal fuoco di un camino. Al centro, quasi contro la parete, c’è un abete pronto per essere addobbato, già con qualche sfera scintillante e la sua stella in cima. Ma i suoi rami non sono tutti ugualmente carichi di aghi: alcuni, su cui spicca la sillaba GA, non sono folti, anzi. Un po’ come quelli di Spelacchio, il povero abete che a Roma, qualche anno fa, l’amministrazione comunale pagò una cifra, ma che perse gli aghi quasi subito…
Ecco, c’è da dire che le illustrazioni dei rebus sono oniriche, difficili da incontrare nella vita reale. In questa qui, a sinistra dell’abete, c’è un uomo con il mantello e la corona, un re, indicato con V. E poi c’è una C fluttuante nel nulla, a mezz’aria nella stanza. In basso, spostato verso destra, un tavolo con sopra una moka, come quella dell’omino coi baffi; qualcuno deve averla aperta, perché il suo filtro ha appena ospitato del caffè in polvere che ora è rappreso, già percolato ma ancora fumante: sopra quel grumo si staglia una I. Dietro al caffè, sulla parete opposta, la porta chiusa della stanza mostra una M come fosse una grossa spilla nera. In basso, sull’angolo estremo del tavolo, a destra, verso la fine dell’illustrazione c’è un bricco panciuto di porcellana da cui spunta l’etichetta di un filtro di tè. A conferma dell’inequivocabile tipo di bevanda, contraddistinta da una N, una tazza anche lei con tanto di filtro e nuvoletta di vapore, viene portata da una giovane donna coi capelli raccolti, forse la governante o chissà.
L’indice della mia mano passa meccanicamente ogni cinque, sei secondi sullo schermo del cellulare di Laura per non far scomparire quell’immagine a china. Sempre più da vicino, lentamente avverto l’odore della resina dell’abete mischiato a quello del caffè esausto ma ancora fumante sul tavolo. Il tipo col mantello e la corona si volta verso di me e mi sorride. Il suo volto prende colore, non è più pallido. L’abete non si muove, ma diviene tridimensionale e di un verde scuro e fresco. Il re fa un cenno alla ragazza, che esce di scena, prende il bricco con il tè e versa in un’altra tazza, che nel frattempo ha preso forma e colore con i suoi fiorellini stile Ginori, un po’ di quel liquido caldo e profumato al bergamotto.
«Gradisce del latte, dello zucchero, mia cara?»
«Niente, grazie Sire. C’è già il limone?»
Un tè caldo, con questo freddo che entra da chissà quale finestra aperta, ci vuole proprio, penso avvertendo nelle mie mani il piacevole calore della tazza. Credo anche che bere quel tè in compagnia di un sovrano gentile, chiunque esso sia, possa essere un’esperienza unica. Da raccontare.
«Il limone è lì, lo hanno portato adesso».
Mi fa Laura con la più normale delle intonazioni.
Deglutisce la sua tisana al miele.
«Um, mti piace il mio rebus? Magari lo hai anche già risolto!»
Alzo la fronte e la vedo soddisfatta. Io però lo sono un po’ meno… Con quel marcantonio di re a bere il tè caldo ci stavo proprio bene, mannaggia a te, Laurina mia!
«L’ho risolto, l’ho risolto, e come no! Magnifici, i tuoi rebus, Laura, veramente magnifici! Ma… ne hai altri di questi qui? Magari me li mandi su whatsapp.»
Meglio che sniffare la coca. Ed è più sano ed economico, mi ritrovo a pensare.
Patrizia Salutij
REBUS (7, 4, 2, 5, 10)
Illustrazione di Laura Neri, proprio lei.
Adesso provate a risolvere e Buon Natale