Nina sull’argine

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Le ombre di Nina

Ombra è una parola chiave, compare nella prima pagina e ci accompagna fino alla fine del romanzo, Caterina, la protagonista, è ossessionata dai suoi fantasmi e soprattutto da quello di Pietro, il compagno di vita che l’ha lasciata per un’altra, ma poi ci sono i momenti di crisi, gli esami saltati, la casa nelle cui ombre, Caterina “ha letto i giorni passati”;  lo sentirete nella lettura del capitolo Febbre ( pag. 124/5).
 Lei stessa ha la sua ombra che la tormenta al punto da avere una crisi d’identità: “ Chi è in fondo Caterina, Nina, non lo sa”. E’ il tema del doppio, rivisitato però, in maniera molto moderna e originale (bellissimo il dibattimento tra le due Caterina alle pag 92/3, durante l’incontro con Pietro).  E’ il passato stesso, dunque, che diventa la sua ombra, la segue h 24  in questa suo difficile compito:  rinascere a nuova vita, dopo che il rapporto con Pietro si è infranto. Quindi, non credo sia un caso che Caterina mediti di rileggere Il giro di vite.
Caterina… un nome importante con una bella storia etimologica, significa pura ma è anche la dea degli inferi, infatti la protagonista ha una certa frequentazione con i morti, con “gli operai fantasma”del suo cantiere.
Chiariamo meglio, Caterina ha un cantiere, in quanto ingegnere, e deve costruire un argine, ma anche questo ha una doppia funzione: serve per contenere le inondazioni di un fiume, ma contemporaneamente per tenere a distanza quelle ombre che, con le loro improvvise incursioni, le riempiono le giornate. Ecco che tra CANTIERE E ARGINE, due parole altamente simboliche, direi emblemi di tutta la storia, si snoda tutta la vicenda della protagonista.
Il CANTIERE è il motore di tutto, è un mezzo per raggiungere il fine, ma anche la rappresentazione reale del  laboratorio di rielaborazione del proprio io più profondo e, se all’inizio, questo luogo di lavoro si manifesta così faticoso, pieno di problematiche tecniche, di maschi ognuno con qualcosa da dire, alla fine diventa il nido della protagonista, a place to be.
L’ARGINE,  il polo estremo dell’azione,  è  da sempre un lavoro di contenimento di un flusso di energia di vario tipo) e l’argine del fiume Spina che mi rimanda alla muraglia di montaliana memoria, ha, guarda caso, la forma di un anello (forse simbolo del legame di Nina col suo uomo), o di un “tempo che non va mai avanti, ma gira solo in tondo”. L’argine, ovviamente, dovrà servire  a frenare anche “l’onda di cattivi pensieri che la assale”, e , come si sa “l’acqua trova sempre la sua strada” , ma questo lo sapremo solo alla fine del libro.
      E. A. Poe cercava l’unità di effetto, lo teorizza magistralmente in Filosofia della composizione, ma per riuscirci bisogna saper togliere e l’autrice mi è sembrata maestra in questa arte della concentrazione, nessuna digressione, nessuna lungaggine, persino i dialoghi non sono annunciati dai puntini e dalle virgolette, perché la rapidità è funzionale allo scrivere, ma solo i grandi lo sanno fare.
     Calvino afferma nella sua lezione intitolata Rapidità:” in ogni caso il racconto è un’operazione sulla durata, un incantesimo che agisce sullo scorrere del tempo, contraendolo o dilatandolo”.
Qui lo Stream of Consciousness si mescola alle mille questioni da sbrigare e alla continua diatriba tra le due Caterine, (o meglio Caterina e Nina) e non c’è mai interruzione (neanche grafica) in questo fiume fatto di parole ma anche di immagini, di fantasmi; tutto si intreccia in un anello che, con la sua spirale, stritola la nostra protagonista.
Mi viene da dire che qui c’è tutta una sceneggiatura pronta, con un sottotesto concreto fatto di sensi accesi, di pensieri ricorrenti, di percezioni limpidissime e spietate, un tessuto ricco, già predisposto per un film, come se Veronica avesse scritto dietro  ad una macchina da presa. Mi auguro che qualcuno ci pensi davvero concretamente.

 
Ultima osservazione: il finale è come una ballata, dopo i vari andante con moto, gli adagio dei quattro pezzi intitolati Novembre, il cui il tono si stempera e siamo di fronte a della vera prosa poetica, intervallati da altri momenti di musica con un “tempo in levare, anche quando sarebbe il momento di battere, quando compare l’altra quella che cede, “quella che lascia sempre una possibilità”, la protagonista finalmente completa, con una grande opera ingegneristica, la ri-costruzione di sé stessa, chiude la partita col passato e non ha più bisogno di ritornare a Spina.
Potremmo dire, giocando con le parole, visto che ci sono tracce anche di interesse per l’onomastica  (Tartaro, Bernini, Belfiore, Nerina),  che ha staccato la spina, o se volete, si è tolta la spina dal fianco. Caterina finalmente non ha più bisogno di rifugiarsi nel nido perché… forse ha smesso di vedere le ombre.

Ecco la mia lettura