La commedia di Candido di Stefano Massini

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La commedia di Candido

Mi sa che questo post verrà un po’ lungo, ci sono tante osservazioni da fare su questa mia ultima dolcissima fatica. Chi è interessato, pazienterà.
Forse bisogna partire dal titolo, Massini ha voluto giocare col termine commedia, ma conviene precisare: il lavoro teatrale non è né una rappresentazione del Candido, né un adattamento, è una commedia SUL celebre capolavoro di Voltaire, quindi potremmo dire una commedia al quadrato, come ci fa osservare il prologo (letto piacevolmente da Anna Botta). E forse, stando a ciò che ci dice l’autore, bisognerebbe rifarsi a James Boswell e il suo libro Visita a Voltaire e Rousseau
Massini fa un’acrobatica operazione intertestuale, crea e non crea (e noi spettatori non sappiamo fino a che punto) i magnifici sei:  i quattro filosofi dell’ Encyclopédie française, i due rappresentanti dei poteri, quello religioso e quello militare, e le sei donne (compagne e cameriere) che animano con il loro cicaleccio la scena.
Su tutti, spicca la meravigliosa self made woman: Augustine che, per sbarcare il lunario, è “tutta la vita che si inventa una vita” e lo fa con grande furberia, intelligenza e sensibilità. Durante i tre atti lei si rinnova ogni volta (un cimento assai arduo per l’attrice che la impersona magistralmente: Manola Bichisecchi), ma forse sono i suoi trascorsi di attrice di teatrini di bassa lega ad aiutarla ad essere così eclettica e multiforme, un vero animale da palcoscenico con un fiuto da investigatore assolutamente invidiabile. Una sorta di Mata Hari del Settecento. Sentite come si presenta:

  Ma parliamo dei più grandi filosofi del secolo dei Lumi. C’è un Diderot farfallone e sospettoso (Riccardo Ricci), un D’Alambert catastrofista e obnubilato dall’alcol (Giorgio Notari), un Rousseau piagnone, ipocondriaco e pieno di fisime (Maurizio Pastacaldi) e infine Voltaire (Riccardo Monzani) blasé, capriccioso, libertino, maestro della parola che, tuttavia ammette di essere inferiore alla impareggiabile Augustine dopo la godibilissima  tirata sui nomi al femminile. Tutti questi che ho nominato sono stati bravissimi.
E allora che dire delle donne, Rousseau sentenzia cupo: “donna chiama donna,  l’alleanza del terrore” ed è così, sia le dame che le servette ( deliziose Clementine e Ivette interpretate rispettivamente da Margerita Locatelli e Lucia Nannini) si coalizzano e rendono possibile il successo della protagonista. Le compagne di vita di questi filosofi che si comportano da primedonne costituiscono invece dei veri “tipi” in senso teatrale, c’è la gelosa Nanette (io), la sottomessa Therese (bravissima anche lei: Alessia Piano) e Madame Denis (stupenda Silvia Michelucci) vero frutto di quest’epoca futile e frivola in cui spiccano tre parole “FAMA FUMO E FAME”, tutto con la F come FOLLIA.
Siamo alle soglie della Rivoluzione Francese, nei salotti si mangiano brioches imburrate con lo zucchero delle Antille, ma nel Candido si racconta come si punisce, con crudeltà suprema, chi cerca di scappare dalle piantagioni. Infine ci sono i due rappresentanti della chiesa e del potere dello stato impersonati magistralmente dagli attori Michele Bernardini e Andrea Bocelli. Questi difendono il proprio orticello, anzi direi il loro prezioso latifondo e partecipando con falsa amabilità  alla colazione di Voltaire (dove si sfoggiano citazioni dotte e tanta sagacia) lo sottopongono ad una sorta di tacito processo con l’intenzione di arrestarlo e spegnere il suo sorriso beffardo, ma lo salva Augustine attraverso un ingegnoso excamotage  (ma non voglio dire troppo). I due signori in divisa difendono l’indifendibile contro un libro che afferma tante verità, ma che padre Gallina, responsabile appunto dell’elenco dei libri proibiti, vorrebbe correggere fino a farlo diventare “un’enorme macchia rossa.”
La vera protagonista di questa commedia è però, in definitiva, l’ironia salace, un’arma che Massini usa per toccare con magistrali colpi di fioretto tutti i personaggi e soprattutto per descrivere la temperie del secolo, d’altronde anche lui, come Voltaire, si nasconde dietro al  “manoscritto dilavato” di manzoniana memoria, come leggiamo in testa al copione. Questo gioco sottile, elegante non deriverebbe dunque solo dalla sua penna, quindi anche lo spettatore deve parteciparci consapevolmente ma ricordando di non dare tutta la “responsabilità” all’autore. Voltaire d’altronde precisa “io adoro i giochi”; davvero pregevole è  infatti quello della verità, sarebbe bello, in un mondo come il nostro, poter, tutti i giorni, parlare con sincerità.
Un’ultima cosa per finire, a proposito del testo, io ci provo, visto che il finale è aperto, chissà che Massini non possa creare un sequel sparigliando le carte. Basterebbe mescolare le coppie, chissà che cosa ne verrebbe fuori e poi perché non creare un compagno ad Augustine…, no, forse mi sono spinta troppo lei è così indipendente, mah, chi può dirlo, questo è il gioco delle parti.
Ma veniamo alla REGIA DI AMASI DAMIANI:
recitare con lui è davvero un piacere, si impara tanto. Amasi ha rispettato il testo e ha dato un’estrema libertà agli attori, non ha mai forzato la mano, dimostrando una leggerezza  e un equilibrio invidiabili, in più è un vero Maestro di vita ma su questo mi sono già espressa. “Hai odorato il legno del palcoscenico, appena ci sei salita, sei stata più fluida, più morbida”, mi ha detto alla prova generale.
Grazie Maestro e grazie ad Adriana, la nostra Capitana, attiva a 360 gradi, sempre presente, insostituibile.
Vorrei concludere, anche se ci sarebbe tanto altro da dire, con una frase di Voltaire in una lettera indirizzata proprio a James Boswell. Voltaire scrive: “Mi sembrate preoccupato di quella cosetta che si chiama anima. Credetemi se vi dico che non ne so nulla, non so se ci sia, non so che cosa sia, non so che cosa ne sarà”
Sarebbe stato certo contento Padre Gallina di un’ invasione di campo da parte di Voltaire, ma questa volta il filosofo è prudente.
Comunque sia, oggi e sempre, quella di Amasi Damiani è veramente un’anima bella.