“Il tempo che è filo conduttore anche nella prosa poetica mi pervade. Il tempo trascorso e vissuto negli occhi, nel petto, nella mente. E ancora adesso sono sempre qui a scrivere con la sorpresa emotiva di chi crede di stare iniziando adesso, in un gioco di verità e di dolore. Perché ė anche sofferenza questa rivelazione giornaliera.” Lo stupore anima la penna di Letizia che così si rivela.
L’ho conosciuta facendo una ricerca sulla prosa poetica e la sua è di egregia fattura, non saprei dire che cosa prevale, so solo che ciò che lei scrive è un dono per noi che leggiamo, un grande dono che viene dal cuore. Io leggo i suoi post su Facebook tutti i giorni e la ringrazio per quello che ci regala, per la sensibilità che muove la sua penna; Lei è speciale e i suoi ricordi, gli odori della sua Sicilia, i sapori della sua terra diventano cosa viva e si fanno nostri, diventano patrimonio di tutti. E’ un dono che si fa parola e vince su tutto, anche sul dolore, è qualcosa che dilata la sua stanza, la sua casa e si fa mani che si protendono, braccia pronte a stringerci. Letizia, moderna Dickinson, fa del suo hortus conclusus un approdo sicuro per noi lettori e qui noi ci fermiamo ammirati.
“Mia madre qui, in questo sud che non è un sud, aveva camicie da notte bianche e svolazzanti. Non rideva più. Incontrava in corridoio mia figlia, nipote tanto amata, e le chiedeva: “chi è lei?”. Voleva giacche invernali il 15 di agosto e beveva la medicina frizzante solo se mio figlio le raccontava una storia. Era come aver perso una casa per sempre, il letto della vita, quello dove è successo tutto, dove si è pure partorito. I gatti miagolavano fuori, gli uccelli cantavano rauchi e la sua voce si spegneva. In quella estate maledetta scappammo per riportarla in città, ma niente le poté dare niente. Le telefonavo ma sembrava che qualcuno avesse tagliato i fili come nel paese di Marquez. Mi coricavo e avevo le sue parole non dette. Il suo silenzio. Fummo noi, per un po’. Poi più nulla.”
Ascoltate la lettura di una sua poesia